curiosità stroriche padovane  1°

ALBERTO TREVES BONFILI

Deputato del Regno d'Italia per tre legislature (17°, 18° e 19°); avendo come relatore Antonino Di Prampero, Treves fu nominato senatore del Regno da Vittorio Emanuele III il 4 marzo 1904; la nomina fu convalidata il 23 marzo e il giuramento avvenne il 10 maggio.

Il Veneto, conservatore e cattolico, affidò le proprie istanze di rinnovamento a due parlamentari di tradizione ebraica, Treves e Leone Wollemborg. Treves, anche per la sua attività di beneficenza, fu peraltro legato da amicizia ai patriarchi di Venezia e uno di essi ebbe il viaggio verso il conclave pagato dal senatore: divenne papa Pio X.

Nel 1915 il senatore fu tra i 300 parlamentari che lasciarono alla porta di Giolitti loro biglietti in segno di solidarietà con l'azione del politico di Dronero a favore di un'intesa diplomatica con l'Austria-Ungheria e in opposizione alla guerra per cui tramava Salandra.

La figura di Alberto Isacco Treves de Bonfili è significativa della piena integrazione di esponenti di tradizione israelitica nel regno umbertino e nel periodo liberale di Vittorio Emanuele III. I maggiorenti delle Comunità ebraiche erano ormai integrati oltre che a vari livelli financo nell'alta borghesia finanziaria, commerciale e agraria e ebbero accesso anche alla nobiltà, da cui erano stati nei secoli precedenti esclusi per motivi religiosi.

I Treves peraltro avevano già raggiunto una posizione influente durante la Repubblica Veneta; quest'ultima aveva concesso loro di abitare in un palazzo patrizio adatto alla loro attività armatoriale, allargando appositamente il Ghetto col "Ghetto novissimo". I Treves, presenti nella Marca Trevigiana già nel XIV secolo (sui loro monumenti funebri appare in quel secolo la colomba col ramo d'ulivo che da allora farà sempre parte dei loro stemmi) e nella Dominante dal sedicesimo secolo, nel diciassettesimo erano divenuti i maggiori armatori battenti bandiera marciana, fino a possedere oltre trenta navi (furono sequestrate da Napoleone dopo la caduta della Repubblica e utilizzate nella campagna d'Egitto dove furono distrutte dagli inglesi).

Come appartenenti alla "Nazione" ebraica non ne avrebbero teoricamente avuto il diritto, ma ciò fu loro concesso permettendo la costituzione di varie società (ad esempio la "Compagnia veneta del Baltico") di cui furono "parcellonisti" di maggioranza mentre loro capitani, quali gli Adorno, possedevano quote minoritarie. Si noti che uno dei motivi giuridici portati dagli Spagnuoli a pretesto delle ostilità dichiarate contro Venezia nel Seicento fu proprio il prestare agli Ebrei la protezione commerciale garantita dal veneto gonfalone.

I Treves furono esentati per ragioni di censo dalle leggi limitanti le attività degli Ebrei emanate su ispirazione di Andrea Tron detto "el paròn"; poco dopo finanziarono l'elezione a (penultimo) doge di Paolo Renier cui furono sempre legati. Il Renier spinse un Treves a sposare l'unica erede dell'altra potente famiglia israelita veneziana, i Bonfil; proprio la liquidità acquisita con tale matrimonio fu poi alla base delle fortune ottocentesche della famiglia dopo la catastrofe della perdita della flotta.

La famiglia Treves

La famiglia vanta un titolo baronale concesso a Giuseppe Treves da Napoleone, in quanto re d'Italia, nel 1811 e confermato nel 1812, mentre il predicato de' Bonfili fu concesso dal governo austriaco a Giacomo insieme con il titolo di Nobile Cavaliere dell'impero. Giacomo, in seguito esponente del rinato governo veneto nel 1848-1849, amava ripetere, in dialetto veneto, "mi so fiol de baron, pare de baron, ma no so baron" in quanto i due Giuseppe (suo padre e suo figlio) avevano ottenuto tale titolo rispettivamente dal Regno Italico (non trasmesso ai discendenti) e da Casa Savoia; quest'ultima aveva riconosciuto a Giuseppe Treves de' Bonfili (nipote di Giuseppe Treves, figlio di Giacomo e padre di Alberto) il titolo baronale in concomitanza all'annessione di Venezia al Regno d'Italia nel 1866 e inoltre nel 1894 aveva concesso un ulteriore riconoscimento baronale ad Alberto che ,come secondogenito,non ne avrebbe avuto diritto.

Secondo lo Schaerf fu lo stesso senatore Alberto Treves de Bonfili a ironizzare su questi riconoscimenti perché in risposta a un ebreo polacco sul come mai pur essendo israelita, avesse potuto ottenere un titolo nobiliare, gli presentò il proprio socio Coen, affermando che era nobile da 4.000 anni, in quanto i Coen sono di casta sacerdotale.

Secondo l' Encyclopaedia Judaica i Treves (in Francia Dreyfus) possono peraltro vantare una tradizione eccezionale: nella loro ascendenza annovererebbero una figlia di Rashi, il saggio viticoltore di Troyes i cui commenti alla Bibbia sono alla base non solamente dell'opera di Maimonide ma anche, in parte, di quella di San Tommaso d'Aquino.

I colori di famiglia, rosso e blu, rimanderebbero secondo una antica leggenda alla stirpe davidica. La stessa Chiesa cattolica che, anche durante il Medioevo fu estremamente attenta al simbolismo, richiedeva agli artisti di dipingere in rosso e blu le vesti di Gesù e Maria, onde sottolinearne l'appartenenza alla casa reale d'Israele; nella scuola veneziana di San Giorgio dei Dalmati, istoriata dal Carpaccio, accanto al Cristo sul monte degli ulivi è rappresentato uno stemma rosso e blu a sottolinearne, nel momento più buio, la regalità messianica. Sembra che, come la famiglia Abravanel, i Treves facessero risalire la loro antica origine ad un ceppo principesco davidico.

A Padova vi era un palazzo avito, notevole soprattutto per il giardino: quest'ultimo, su progetto dell'architetto veneziano Giuseppe Jappelli e realizzato intorno al 1820, si ispira al giardino romantico all'inglese, caratterizzato da un intreccio di vialetti e percorsi sinuosi. Attualmente è di proprietà del Comune di Padova e l'entrata, non più a pagamento è situata in via B. D'Alviano; occupa una superficie di 9600 m2. 

 

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